I giovani e lo sfruttamento sul luogo del lavoro.

“I giovani non hanno voglia di lavorare” “Il lavoro c’è ma i giovani non hanno voglia di fare niente!” “In estate i giovani non hanno voglia di lavorare” “I giovani pensano solo a divertirsi con i soldi dei genitori” “I giovani sono dei fannulloni!” “Al posto di studiare, vai a lavorare”

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Quante volte hai sentito dire le frasi sopra citate? Quante volte lo hai sentito dire dal titolare con cui hai fatto un colloquio? O quante dai tuoi genitori, nonni, parenti?

La nostra generazione è descritta come quella dei giovani che non hanno voglia di fare niente, che vogliono avere tutto e subito, ma il problema non è tanto la voglia di fare, bensì lo sfruttamento della maggior parte delle aziende nei nostri confronti – e non solo.
Noi giovani vogliamo avere una sicurezza, vogliamo essere visti come persone che possono crescere professionalmente in un luogo di lavoro, non vogliamo essere dei neo-assunti che devono accaparrarsi le mansioni che altri dipendenti non vogliono fare perché “noiose”. Non vogliamo essere nemmeno delle persone che devono obbligatoriamente fare tutto ciò che i titolari dicono se non incluso nel contratto, compresi gli straordinari, che, molte volte, vengono visti come obbligo, “altrimenti non hai lavorato/ altrimenti hai lavorato poco”.

Ero sicura di non essere l’unica persona sfruttata, quindi mi sono messa alla ricerca di storie e ho trovato molte persone come me che hanno raccontato la loro esperienza. C’è chi è riuscito ad uscire da questo sfruttamento e chi invece, per cause di forza maggiore, ancora è nel circolo.

Voglio dar voce alle loro storie e alle loro esperienze perché tutti devono rendersi conto di cosa succede fuori dalle loro vite.
Vorrei poter scrivere che “ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”; purtroppo, invece, solamente i nomi saranno casuali.

 

La storia di “Luisa”:

Ho lavorato per un anno di tirocinio a 500€ al mese. Invece che farmi fare le 6 ore regolari da contratto, me ne facevano fare 8. Non solo non me le pagavano, ma quando chiedevo un giorno di permesso per motivi personali avevano anche il coraggio di togliermi i soldi.
Mi avevano promesso un contratto indeterminato dopo l’anno di tirocinio. Il giorno stesso della fine del contratto mi hanno detto “oggi ti scade il contratto, da domani non venire più”. Quando sono andata via, mi hanno dato il bussolotto delle mance perché “sei una ragazzina, noi non ce ne facciamo niente”, e dopo sei mesi mi è arrivata una denuncia penale per furto e appropriazione indebita. Ho 22 anni.

 

La storia di “Margherita”:

Ho iniziato in asilo nel 2019, senza un regolare contratto. Lavoravo dalla mattina alle 7 al pomeriggio alle 15:30, e solo perché poi avevo un altro lavoro nel pomeriggio e non potevo perciò fare un full time. 600€ al mese, in contanti, non ero pagata a ore ma fissa. Se avessero fatto un controllo, avrei dovuto dire che ero volontaria. Io da sola mi occupavo di tutto: le attività, il riordino, la pulizia, la cura dei bambini e perfino la cucina, senza avere un attestato HACCP.
A settembre 2019 abbiamo cambiato struttura ma la solfa sempre la stessa: io in nero, prendevo una misera al mese, dalle 7:30 alle 13:30 tutti i giorni, pagata in contanti, ma un centesimo in più e SEMPRE in ritardo. Dovevo praticamente pregare la titolare di darmi i soldi.
A gennaio 2020 finalmente mi fa un contratto, e perché? Solo perché il nido in famiglia sarebbe diventato micro-nido, struttura che non prevede più la figura della volontaria da sola con i bambini… Quindi, non avendo io una laurea, mi ha fatto un contratto da ausiliaria con una paga ridicola. Prendo la paga da ausiliaria, ma faccio l’educatrice: come prima, gestisco tutto… Tranne la cucina, perché finalmente abbiamo la mensa da fuori.
Non prendo manco 400€ al mese.
Per concludere in bellezza, arriva il COVID e chiudiamo i battenti come tutti. La titolare ci mette mesi ad inoltrare la richiesta di cassa integrazione per me e l’altra dipendente… Non so se per colpa sua o dell’Italia che non funziona, ho ricevuto 89€, a settembre, per 4 mesi di lavoro part time perso.

 

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La storia di “Eva”:

Ho lavorato per più di 2 anni e mezzo in un ufficio. All’inizio sembrava andasse tutto bene, il mio primo contratto di lavoro non in nero, il mio primo stipendio (€ 800/900 al mese, non male come primo approccio), i miei primi contributi… Dopo pochi mesi ho scoperto che posto fosse in realtà. Nell’arco di appena un anno si sono licenziate più di 4 persone, chi concludendo bruscamente il rapporto e chi meno.
L’ufficio da 6 persone è passato ad averne 3, me compresa. I ritmi di lavoro si sono fatti estenuanti, il lavoro era per 6 persone. Il venerdì prima delle 20 non si finiva e non si poteva uscire dopo le 8 ore ordinarie, perché gli straordinari erano considerati come obbligatori. Se io o le altre colleghe chiedevamo un permesso, dai titolari arrivava la fatidica frase “cerca di non prenderti permessi quando sai che c’è da fare”. Come se alle visite mediche si potesse arrivare in ritardo.
Se c’era qualcosa da finire che si sarebbe potuta fare anche il giorno dopo, si doveva rimanere per forza. Quando è arrivato il Covid, ci hanno consegnato delle mascherine unte, rotte, vecchie. Quando avremmo dovuto essere in quarantena causa qualche collega positivo, noi eravamo lì a lavoro.
I titolari erano due: una donna e un uomo. La donna ci obbligava a portarle a casa il pranzo che arrivava in azienda dalla mensa, obbligava gli operai della fabbrica ad andare a casa sua per spostare piante, divani, tappeti. Si faceva scarrozzare in giro per centri commerciali, mandava loro ad acquistare cose che le servivano in orario lavorativo. Anche in giornate in cui c’era molto lavoro da fare, lei doveva andare al centro commerciale.In tre anni, noi tre dell’ufficio, abbiamo imparato a fare il lavoro per 6 persone con lo stipendio totale di due. E per chi era appena arrivato gli straordinari non andavano pagati. Li facevi e il mese successivo scoprivi che non te li pagavano perché “abbiamo perso tempo a spiegarti il lavoro” quando le uniche persone che hanno “perso” tempo siamo state noi colleghe.
Sono arrivata al punto di avere un magone in petto, ad avere sempre l’umore a terra, una negatività costante, tanto che un giorno ho avuto persino un attacco d’ansia a lavoro e sono andata in bagno a piangere. Ho capito che non ne potevo più. Di lì a poco ho dato le dimissioni. Non se lo aspettavano, mi hanno detto… Sono sicura che a loro, in realtà, non interessi. Intanto se ne stanno andando tutti a causa dell’ambiente e di una persona X che è onnipresente con la sua negatività.

 

La storia di “Alice”:

Animatrice per feste. Faccio le mie prime feste con la direttrice e dopo poco inizio ad essere chiamata anche dal compagno che gestiva un’agenzia correlata. Con lei prendevo 20€ per 3 ore di festa, con lui 25€. Solo che dopo qualche festa lui inizia a darmi 20, gli dico che mi ha sempre dato 25 e mi risponde che si era sbagliato a pagarmi all’inizio perché ai nuovi dava sempre 20. E già questo è assurdo ma comunque mi abbassa la paga. La botta finale fu un matrimonio, l’ultimo infatti, in cui dovevo iniziare alle 18.00 e finire alle 24.00… per iniziare alle 18.00 dovevamo essere lì dalle 17.00, per di più il matrimonio non fini alle 24.00 bensì alle 2.00. 10 ore di lavoro. Già la paga per i matrimoni era standard di 40 € (mica dava un extra per ore extra? Assolutamente no) ma il peggio fu che tornai a casa accompagnata dalla mia collega e quando mi pagò mi diede 30€. Le chiesi spiegazioni e mi disse che così le era stato detto dal datore. Lo chiamo, non me ne fregò proprio che fossero le 3 di notte e la risposta fu che quella doveva essere la mia paga perché mi aveva accompagnata la collega e lui doveva pagarle il disturbo. Ora dai tu un senso a tutto ciò. La collega mi ha accompagnata a casa? Ma saranno cazzi nostri? È un’organizzazione inter nos, che c’entri tu. Tra l’altro, se pure avessi voluto pagarle un disturbo non dovevi prenderlo dai miei soldi. Se io volevo ringraziare la collega pagando la tangenziale o simili, erano fatti miei, intanto a me doveva essere dato quel che mi spettava, quello per cui avevo lavorato! Invece no, mi furono detratti 10€ da una paga già misera ed inumana di suo per il disturbo alla collega. E tutto questo perché? Perché la collega era la sorella della compagna.

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La storia di “Teresa”:

Ho lavorato per 12 anni nella ristorazione. In Italia, solo contratti a tempo determinato per le stagioni a 6 euro all’ora. La maggior parte in nero, ovviamente. Domeniche, feste e quant’altro erano sempre 6 euro all’ora. Anche a Natale, morire che ti dessero un premio o un piccolo extra per il fatto che tu fossi li. So che oggi, 13 anni dopo il mio primo contratto, in quel posto la paga è aumentata di 50cent. all’ora. 50cent. In 13 anni! Assurdo. Ovviamente 6 giorni su 7 quando non 7/7 e turni spezzati. Il primo anno il mio turno era ogni lunedì e martedì 9-15/ 17-02 – Ero da sola fuori con circa 24 tavoli, quindi 50 persone quando era tutto pieno. In Finlandia mi è andata un po’ meglio. Il nero non esiste, ma alla fine come cameriera semplice ero pagata 12,50 all’ora lordi, che netti erano circa 1400 euro al mese. Si viveva dignitosamente, ma non si risparmiava granché (i prezzi sono più alti). Da responsabile, mi e andata bene come paga (16 euro lordi) ma male come orari perché era tutto sulle mie spalle e vivevo dentro al ristorante (e quando dico vivevo intendo che spesso arrivavo alle 9 di mattina e andavo via a mezzanotte……certo, non facevo solo sala, facevo tanto ufficio.) Adoro il mondo della ristorazione ma odio lo sfruttamento. (Questo è accaduto lavorando per stranieri in Finlandia, i finlandesi trattano il mondo della ristorazione come un qualsiasi altro lavoro, e lavorando per loro mi sono trovata bene). A un certo punto mi sono guardata in faccia e ho capito che non volevo vivere così, per questo sono tornata in Italia ed ora lavoro su commissioni per un’altra azienda.

 

La storia di “Giulia”:

Mi hanno presa a lavorare per circa 3 settimane in una libreria, a fare i pacchettini di natale ma anche a consigliare ai clienti. Sono andata per due anni di fila, ma vorrei precisare che in quelle 3 settimane non avevo neanche mezza giornata di pausa… Lavoravo tutti i giorni, weekend compresi e 24 dicembre compreso.
Il primo anno ci sono stati dei problemi con i voucher per il pagamento, e quindi il proprietario mi ha pagata in nero (e questo ci sta più o meno, alla fine è stato un problema di base). Tra l’altro mi ha pagata meno di 6 euro all’ora, mentre con il voucher mi avrebbe dovuto dare 10 euro e, togliendo le tasse, io avrei guadagnato 7,50 euro circa. Okay, cerchi di risparmiare e capisco che tu non mi voglia dare 10 euro che sono tanti, ma 7.50 come se ci fosse il voucher secondo me erano corretti anche per una questione di principio.
Anno successivo: questa volta sappiamo che non ci sono i voucher. Mi crea un contratto a inizio lavoro dicendomi “ti segno 400 euro. Se poi lavori di più e ti devo dare di più facciamo in nero”. E okay, va bene. Vado a gennaio a ritirare i soldi e tutto sorridente mi dice “bene, il controllo non è passato quindi direi che questo non serve”. E strappa il contratto davanti ai miei occhi. Io ero talmente basita che non ho detto nulla. E soprattutto, mi ha pagato 5,50 circa allora quindi avevo paura che se avessi parlato mi avrebbe dato ancora meno. La cosa che mi fa incazzare è innanzitutto che non me lo ha detto. E poi che, per essere un contratto in nero, mi ha pagata pochissimo. So che c’è chi prende meno, ma comunque il lavoro in libreria non è paragonabile come anche livello necessario a un lavoro come, per dire, il fattorino della pizzeria o cose del genere (nulla da togliere a queste persone comunque). Non possono prendere chiunque a farlo. Quindi mi ha pagato poco contando che era tutto in nero!!! E soprattutto che ho lavorato ininterrottamente, sabati e domeniche comprese e festivi (e so che questi giorni avrebbero una paga maggiore). In tutto questo io ora non ho potuto mettere niente da parte per la pensione (per quel poco che poteva essere) e quando lo inserisco nel curriculum devo essere molto cauta perché in caso facessero controlli ci andrei di mezzo io… E niente, fa un po’ schifo.

 

Ci sono diverse realtà, c’è chi purtroppo deve fare una scelta per mantenere la propria famiglia e decide di accettare quello che gli viene proposto; c’è chi cambia lavoro e ne trova uno peggiore; c’è chi vuole andarsene di casa e chi vuole guadagnare qualcosa per non sentirsi un peso sulle spalle dei genitori.

Prendiamo nota, però, del fatto che lo sfruttamento si verifichi in molti modi, non si parla solo di ore e/o lavoro in più.
Per esempio, una ragazza mi aveva raccontato che una volta ha dovuto andare a prendere a scuola la figlia della titolare, portarle a casa la spesa e ha dovuto anche annaffiare le sue piante. Non è normale chiedere tutto ciò ma per molti titolari è un obbligo.
A meno che nel contratto non ci siano scritte determinate mansioni, non ci si dovrebbe sentire obbligati a fare cose che non si dovrebbero fare… Da un lato, però, come si fa a dire di no, se i giorni seguenti si dovrà rivedere il/la titolare? Molte volte ho acconsentito anche io nonostante non volessi fare determinate cose, in un primo momento anche senza rendermene conto, solo per non avere “problemi” i giorni seguenti. Però quando si arriva al limite, è finita.
Io ci sono arrivata e ho detto “ora basta”. Sono stata fortunata perché ne avevo la possibilità e sono riuscita ad andarmene da quel luogo buio e tossico.

Se avete altre storie da raccontarmi, mi farebbe molto piacere poterle condividere.

Vi abbraccio virtualmente e augurandomi che sia un anno migliore per tutti, nella speranza che lo sfruttamento diminuisca il più presto possibile per dare a noi giovani una prospettiva di vita e futuro che ora non abbiamo.

Tra queste storie c’è anche la mia ma, ovviamente, rimarrà in anonimato.


Timidibaci.

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